La
maschera d’oro attraversò a volo il cielo notturno. Il soldato si rialzò con
fatica, sputacchiando sangue e denti sul ciottolato.
«Venerabili
mezze calzette, se voi risponde a nostra domanda noi toglie subito il
disturbo.»
La
voce dell’uomo del Qtai risuonò cordiale nel cortile del tempio di Ishkibal. Al
suo fianco avanzava il disturbo:
l’uomo del nord, o delle caverne, quello insomma che si stava rimuovendo dal
palmo della mano gli incisivi dell’ultima guardia pestata, o forse di quella
prima. Sebbene le cicatrici della sua fronte si confondessero nel numero delle
rughe, il braccio conservava una potenza primitiva. Se fra i suoi antenati non
contava polifanti, quantomeno doveva essere avvezzo a cibarsene.
Il
tramestio dei sandali e il clangore del ferro annunciarono l’arrivo dei
rinforzi. Una squadra di dodici uomini uscì di corsa dalle porte del tempio, si
allargò su due ali ai fianchi degli intrusi e si richiuse alle loro spalle,
serrandoli in un cerchio letale di lance e scudi.
«Noi
ha molto dispiacere che voi prende cose in questa maniera qua.»
Le
punte di metallo si avvicinarono agli intrusi; qualcuno intimò la resa. Con una
sveltezza inaspettata da un individuo tanto massiccio, l’uomo del nord acchiappò
l’estremità di una lancia. Il soldato che la impugnava tentò di ingaggiare un
confronto di forza, nel quale si scoprì sconfitto quando i suoi piedi si staccarono
dal terreno. L’intruso mulinò lancia e lanciere con violenza inaudita: volarono
maschere d’oro, poi volarono anche i rispettivi proprietari. Non era trascorso
il tempo di sette respiri e il cortile era disseminato di corpi di lancieri tumefatti.
Uno solo riuscì a fuggire all’interno del tempio, abbandonando sul campo più
denti di quanti non gliene rimanessero in bocca.
«Chiufete!
Prefto!»
Sei uomini robusti azionarono la ruota che
controllava il meccanismo dell’ingresso. La pesante porta di ferro che nei
secoli aveva difeso da predoni ed eserciti il tempio di Ishkibal sigillò la
soglia prima che i due intrusi potessero varcarla. Non era stata una bella
figura, quella del corpo di guardia; ma se non altro ora i difensori del tempio
avrebbero potuto riorganizzarsi prima che...
Il
soldato senza denti non riuscì a completare il pensiero perché la pesante porta
di ferro che nei secoli aveva difeso da predoni ed eserciti il tempio di Ishkibal
gli cadde addosso schiacciandolo al suolo. Seguì il rumore croccante di ossa
che si sbriciolano, mentre l’uomo del nord entrava passeggiando sopra al
portone divelto.
«Ullr,
non fare maleducato.»
Sull’uscio,
Jin BaoBao si cavava i mocassini. Non senza un sospiro di insofferenza, Ullr si
sistemò in un angolo e levò a sua volta gli stivali. Nella stanza si diffuse un
lezzo di morte e putrefazione.
Gli
uomini dalle maschere d’oro che non avevano ancora perso i sensi si diedero
alla fuga, lasciando i due intrusi soli nella camera d’ingresso del tempio di Ishkibal,
ad ascoltare il suono dei passi concitati che si allontanavano nel corridoio –
presto seguito dal suono dei passi concitati che si avvicinavano dal corridoio.
Gli
uomini dalle maschere d’oro rientrarono dallo stesso varco da cui erano usciti,
corsero incontro agli intrusi, li superarono e schizzarono nel cortile del
tempio ululando come bestie impazzite.
Mentre
Ullr e Jin BaoBao cercavano una spiegazione per quell’insolito comportamento,
dallo stesso corridoio sbucarono altre tre figure: una donna e due uomini
(senza maschere d’oro). La donna era molto bella e molto spaventata. Dei due
uomini, uno era alto e brutto, l’altro solo brutto. Quando Jin BaoBao li vide,
il suo viso si illuminò.
«Venerabili
teppisti! Lungamente noi vi ha cercato.»
Se
uno dei fuggitivi riconobbe Jin BaoBao, non lo diede a vedere. La donna e
l’uomo chiamato Huzziya, tuttavia, si fermarono. L’altro, l’avventuriero noto
come Telepinu, continuò nella sua corsa disperata fino a che non rimbalzò
contro l’ostacolo che gli sbarrava l’uscita, vale a dire la pancia sconfinata
di Ullr. Dietro la massa lanuginosa della barba rubizza un attento osservatore
avrebbe potuto indovinare la linea di un sorriso.
«Ora
che vi ha trovato, noi presenta conto», disse Jin BaoBao.
L’ombra
di un ricordo passò sulla fronte di Huzziya. Ma prima che il mercenario potesse
aprir bocca, la donna gridò: «Fuggite! Non sapete cosa sta per arrivare!»
«L’Orrore!
L’Orrore!» le fece eco Telepinu. E lacrimava, e strepitava, e si aggrappava
alla gamba pachidermica di Ullr, e Ullr cominciava a irritarsi.
Jin
BaoBao inforcò un paio di occhialetti rotondi e dispiegò davanti a sé un lungo
rotolo di pergamena.
«Scalone
con corrimano: centoventi monete d’oro. Tre tavoli di legno massello ben
lavorato: trentasette monete d’oro (cadauno). Statua di antico imperatore di
giada Xing Xiaoping: tre monete di rame (era falso)...»
«Levatevi
dai piedi», ringhiò Huzziya, scimitarra alla mano.
«Vaso
di pesciolino testa-dorata: due monete d’oro. Pesciolino testa-dorata: duecento
monete d’oro (io era molto affezionato)...»
«Sta
arrivando! La morte che striscia!» Folle di paura, Telepinu si aggrappò all’odoroso
piede di Ullr, come il naufrago che si afferra al relitto nella tempesta. Sotto
la lanuginosa massa di barba rubizza il sorriso di Ullr era definitivamente
mutato in smorfia di fastidio. Con severa brutalità l’uomo del nord scalciò via
il supplice; il supplice rotolò malamente dall’altra parte della stanza; tutti
ammutolirono.
Non
fu il capitombolo di Telepinu a imporre il silenzio, ma l’apparizione alle sue
spalle della cosa.
Nessun
uomo avrebbe potuto darle un nome, poiché non c’era nulla in essa che potesse
apparire familiare all’occhio umano. Non aveva forma né colore, ma
incessantemente ribolliva senza mai riuscire a trattenere un aspetto definito.
Era un cumulo insensato di corruzione e blasfemia, un ammasso di bolle ed
escrescenze schiumose, che scoppiavano e si rigeneravano senza ordine o
ragione. La cosa era sbucata dall’oscurità del corridoio, o forse l’aveva
trascinata con sé: e adesso quell’oscurità piombava famelica sull’ignaro
Telepinu. A questi non restò tempo per un gesto né per un fiato. La creatura
cadde su di lui come un’onda di fango, ed egli ne fu sommerso.
«Molto
scortese divorare venerabile debitore.»
L’orrido
pasto non bastò a placare la creatura. Fremendo e contorcendosi, essa scivolò
sul pavimento, dritta verso la fanciulla. Dall’ammasso gorgogliante affiorò un
volto umano, orribilmente trasfigurato in un grido di agonia. Con orrore la
donna riconobbe i lineamenti che erano stati di Telepinu; allora le gambe
cessarono di sorreggerla, e l’infelice si accasciò alla mercé dell’incubo
vivente. Huzziya colse l’occasione per battere i tacchi e sfrecciare verso
l’uscita.
Non
l’uscita, ma il fondo di una padella di ghisa trovò Huzziya; e lo trovò con
tutta la faccia, sicché non gli restò altro che accasciarsi a sua volta, in
silenzio. Jin BaoBao rinfoderò le padella, che aveva brandito con l’eleganza e
la precisione del maestro.
«Molto
scortese anche defilarsi senza pagare debiti.»
Nulla
di tutto questo vide la fanciulla; le sue pupille erano prigioniere dello
sguardo senza palpebre che era appartenuto a Telepinu. Una voce che non aveva
più nulla di umano risalì da innominabili profondità infernali: “a-iu-to...
a-iu-ta-mi...”. Poi la faccia affondò nell’ammasso.
Non
di propria iniziativa affondò, ma come inevitabile conseguenza dell’incontro
con le nocche spigolose di Ullr. L’uomo del nord si frappose fra la donna e la
creatura, mentre dalle carni mostruose emergeva una seconda faccia, quella di
un soldato, che una ulteriore manata non meno energica della primo si sbrigò a
ricacciare nell’abisso di follia e oscurità. Ma già un terzo volto si preparava
a emergere.
I
baffi rubicondi fremettero, i pugni crocchiarono, mentre l’uomo del nord si
predisponeva al prossimo pugno.
«No!»
Con
la forza della disperazione la donna si aggrappò al braccio di Ullr. Fu la
sorpresa, più che la disponibilità a obbedire, ciò che lo spinse a trattenere
il colpo. Negli occhi della fanciulla non c’era paura, o non solo: essi
esprimevano un’angoscia sgomenta, dolorosa, che somigliava alla pietà. Era
stata l’apparizione di quell’ultimo viso a suscitarla? Era un viso diverso
dagli altri, fanciullesco, incomparabilmente triste, quasi timoroso.
Dall’ammasso strisciante di demenza e iniquità emersero dita – una mano – un
braccio proteso verso la giovane. Ella sollevò la mano a propria volta.
L’espressione del giovinetto si raddolcì. Le sue labbra pronunciarono una
parola, forse un nome.
Infine
celebrarono l’incontro poc’anzi rimandato con il pugno di Ullr, anche più
energico del solito. Mentre il viso si ritraeva nell’ammasso, l’uomo del nord
raccolse la giovane come si raccoglie un rotolo di coperte e se la caricò in
spalla. L’oscurità fremette in gran tumulto; lembi di carne simili a tentacoli
guizzarono in tutte le direzioni. Poi l’orrore compì un balzo formidabile verso
il soffitto, per un istante rimase appollaiato come un ragno, infine piombò sopra
alla porta di ferro, in preda a una furia cieca e irrefrenabile.
«Forse
meglio se noi discute debito da altra parte.»
Ignorando le proteste della fanciulla, Ullr agguantò anche il corpo privo di sensi di Huzziya, e insieme a Jin BaoBao fuggì a gambe levate per il corridoio, verso il cuore del tempio.
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