martedì 7 marzo 2017

Le braci di Galdar-Mesh, cap. IV


La maschera d’oro attraversò a volo il cielo notturno. Il soldato si rialzò con fatica, sputacchiando sangue e denti sul ciottolato.
«Venerabili mezze calzette, se voi risponde a nostra domanda noi toglie subito il disturbo.»
La voce dell’uomo del Qtai risuonò cordiale nel cortile del tempio di Ishkibal. Al suo fianco avanzava il disturbo: l’uomo del nord, o delle caverne, quello insomma che si stava rimuovendo dal palmo della mano gli incisivi dell’ultima guardia pestata, o forse di quella prima. Sebbene le cicatrici della sua fronte si confondessero nel numero delle rughe, il braccio conservava una potenza primitiva. Se fra i suoi antenati non contava polifanti, quantomeno doveva essere avvezzo a cibarsene.
Il tramestio dei sandali e il clangore del ferro annunciarono l’arrivo dei rinforzi. Una squadra di dodici uomini uscì di corsa dalle porte del tempio, si allargò su due ali ai fianchi degli intrusi e si richiuse alle loro spalle, serrandoli in un cerchio letale di lance e scudi.
«Noi ha molto dispiacere che voi prende cose in questa maniera qua.»
Le punte di metallo si avvicinarono agli intrusi; qualcuno intimò la resa. Con una sveltezza inaspettata da un individuo tanto massiccio, l’uomo del nord acchiappò l’estremità di una lancia. Il soldato che la impugnava tentò di ingaggiare un confronto di forza, nel quale si scoprì sconfitto quando i suoi piedi si staccarono dal terreno. L’intruso mulinò lancia e lanciere con violenza inaudita: volarono maschere d’oro, poi volarono anche i rispettivi proprietari. Non era trascorso il tempo di sette respiri e il cortile era disseminato di corpi di lancieri tumefatti. Uno solo riuscì a fuggire all’interno del tempio, abbandonando sul campo più denti di quanti non gliene rimanessero in bocca.
«Chiufete! Prefto!»
 Sei uomini robusti azionarono la ruota che controllava il meccanismo dell’ingresso. La pesante porta di ferro che nei secoli aveva difeso da predoni ed eserciti il tempio di Ishkibal sigillò la soglia prima che i due intrusi potessero varcarla. Non era stata una bella figura, quella del corpo di guardia; ma se non altro ora i difensori del tempio avrebbero potuto riorganizzarsi prima che...
Il soldato senza denti non riuscì a completare il pensiero perché la pesante porta di ferro che nei secoli aveva difeso da predoni ed eserciti il tempio di Ishkibal gli cadde addosso schiacciandolo al suolo. Seguì il rumore croccante di ossa che si sbriciolano, mentre l’uomo del nord entrava passeggiando sopra al portone divelto.
«Ullr, non fare maleducato.»
Sull’uscio, Jin BaoBao si cavava i mocassini. Non senza un sospiro di insofferenza, Ullr si sistemò in un angolo e levò a sua volta gli stivali. Nella stanza si diffuse un lezzo di morte e putrefazione.
Gli uomini dalle maschere d’oro che non avevano ancora perso i sensi si diedero alla fuga, lasciando i due intrusi soli nella camera d’ingresso del tempio di Ishkibal, ad ascoltare il suono dei passi concitati che si allontanavano nel corridoio – presto seguito dal suono dei passi concitati che si avvicinavano dal corridoio.
Gli uomini dalle maschere d’oro rientrarono dallo stesso varco da cui erano usciti, corsero incontro agli intrusi, li superarono e schizzarono nel cortile del tempio ululando come bestie impazzite.
Mentre Ullr e Jin BaoBao cercavano una spiegazione per quell’insolito comportamento, dallo stesso corridoio sbucarono altre tre figure: una donna e due uomini (senza maschere d’oro). La donna era molto bella e molto spaventata. Dei due uomini, uno era alto e brutto, l’altro solo brutto. Quando Jin BaoBao li vide, il suo viso si illuminò.
«Venerabili teppisti! Lungamente noi vi ha cercato.»
Se uno dei fuggitivi riconobbe Jin BaoBao, non lo diede a vedere. La donna e l’uomo chiamato Huzziya, tuttavia, si fermarono. L’altro, l’avventuriero noto come Telepinu, continuò nella sua corsa disperata fino a che non rimbalzò contro l’ostacolo che gli sbarrava l’uscita, vale a dire la pancia sconfinata di Ullr. Dietro la massa lanuginosa della barba rubizza un attento osservatore avrebbe potuto indovinare la linea di un sorriso.
«Ora che vi ha trovato, noi presenta conto», disse Jin BaoBao.
L’ombra di un ricordo passò sulla fronte di Huzziya. Ma prima che il mercenario potesse aprir bocca, la donna gridò: «Fuggite! Non sapete cosa sta per arrivare!»
«L’Orrore! L’Orrore!» le fece eco Telepinu. E lacrimava, e strepitava, e si aggrappava alla gamba pachidermica di Ullr, e Ullr cominciava a irritarsi.
Jin BaoBao inforcò un paio di occhialetti rotondi e dispiegò davanti a sé un lungo rotolo di pergamena.
«Scalone con corrimano: centoventi monete d’oro. Tre tavoli di legno massello ben lavorato: trentasette monete d’oro (cadauno). Statua di antico imperatore di giada Xing Xiaoping: tre monete di rame (era falso)...»
«Levatevi dai piedi», ringhiò Huzziya, scimitarra alla mano.
«Vaso di pesciolino testa-dorata: due monete d’oro. Pesciolino testa-dorata: duecento monete d’oro (io era molto affezionato)...»
«Sta arrivando! La morte che striscia!» Folle di paura, Telepinu si aggrappò all’odoroso piede di Ullr, come il naufrago che si afferra al relitto nella tempesta. Sotto la lanuginosa massa di barba rubizza il sorriso di Ullr era definitivamente mutato in smorfia di fastidio. Con severa brutalità l’uomo del nord scalciò via il supplice; il supplice rotolò malamente dall’altra parte della stanza; tutti ammutolirono.
Non fu il capitombolo di Telepinu a imporre il silenzio, ma l’apparizione alle sue spalle della cosa.
Nessun uomo avrebbe potuto darle un nome, poiché non c’era nulla in essa che potesse apparire familiare all’occhio umano. Non aveva forma né colore, ma incessantemente ribolliva senza mai riuscire a trattenere un aspetto definito. Era un cumulo insensato di corruzione e blasfemia, un ammasso di bolle ed escrescenze schiumose, che scoppiavano e si rigeneravano senza ordine o ragione. La cosa era sbucata dall’oscurità del corridoio, o forse l’aveva trascinata con sé: e adesso quell’oscurità piombava famelica sull’ignaro Telepinu. A questi non restò tempo per un gesto né per un fiato. La creatura cadde su di lui come un’onda di fango, ed egli ne fu sommerso.
«Molto scortese divorare venerabile debitore.»
L’orrido pasto non bastò a placare la creatura. Fremendo e contorcendosi, essa scivolò sul pavimento, dritta verso la fanciulla. Dall’ammasso gorgogliante affiorò un volto umano, orribilmente trasfigurato in un grido di agonia. Con orrore la donna riconobbe i lineamenti che erano stati di Telepinu; allora le gambe cessarono di sorreggerla, e l’infelice si accasciò alla mercé dell’incubo vivente. Huzziya colse l’occasione per battere i tacchi e sfrecciare verso l’uscita.
Non l’uscita, ma il fondo di una padella di ghisa trovò Huzziya; e lo trovò con tutta la faccia, sicché non gli restò altro che accasciarsi a sua volta, in silenzio. Jin BaoBao rinfoderò le padella, che aveva brandito con l’eleganza e la precisione del maestro.
«Molto scortese anche defilarsi senza pagare debiti.»
Nulla di tutto questo vide la fanciulla; le sue pupille erano prigioniere dello sguardo senza palpebre che era appartenuto a Telepinu. Una voce che non aveva più nulla di umano risalì da innominabili profondità infernali: “a-iu-to... a-iu-ta-mi...”. Poi la faccia affondò nell’ammasso.
Non di propria iniziativa affondò, ma come inevitabile conseguenza dell’incontro con le nocche spigolose di Ullr. L’uomo del nord si frappose fra la donna e la creatura, mentre dalle carni mostruose emergeva una seconda faccia, quella di un soldato, che una ulteriore manata non meno energica della primo si sbrigò a ricacciare nell’abisso di follia e oscurità. Ma già un terzo volto si preparava a emergere.
I baffi rubicondi fremettero, i pugni crocchiarono, mentre l’uomo del nord si predisponeva al prossimo pugno.
«No!»
Con la forza della disperazione la donna si aggrappò al braccio di Ullr. Fu la sorpresa, più che la disponibilità a obbedire, ciò che lo spinse a trattenere il colpo. Negli occhi della fanciulla non c’era paura, o non solo: essi esprimevano un’angoscia sgomenta, dolorosa, che somigliava alla pietà. Era stata l’apparizione di quell’ultimo viso a suscitarla? Era un viso diverso dagli altri, fanciullesco, incomparabilmente triste, quasi timoroso. Dall’ammasso strisciante di demenza e iniquità emersero dita – una mano – un braccio proteso verso la giovane. Ella sollevò la mano a propria volta. L’espressione del giovinetto si raddolcì. Le sue labbra pronunciarono una parola, forse un nome.
Infine celebrarono l’incontro poc’anzi rimandato con il pugno di Ullr, anche più energico del solito. Mentre il viso si ritraeva nell’ammasso, l’uomo del nord raccolse la giovane come si raccoglie un rotolo di coperte e se la caricò in spalla. L’oscurità fremette in gran tumulto; lembi di carne simili a tentacoli guizzarono in tutte le direzioni. Poi l’orrore compì un balzo formidabile verso il soffitto, per un istante rimase appollaiato come un ragno, infine piombò sopra alla porta di ferro, in preda a una furia cieca e irrefrenabile.
«Forse meglio se noi discute debito da altra parte.»
Ignorando le proteste della fanciulla, Ullr agguantò anche il corpo privo di sensi di Huzziya, e insieme a Jin BaoBao fuggì a gambe levate per il corridoio, verso il cuore del tempio.

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