"Tutto è pronto, Maestro."
Sothil-Boletor rimase immobile, seduto sui talloni a contemplare la fiamma di una candela nera.
Il novizio fissò per qualche secondo la nuca rasata del Gran Cerimoniere di Ulaag Khar e Mastro Mistero dei Settanta Segreti. Tamburellò le dita sul fianco della pesante tunica cerimoniale. Deglutì. Tirò su col naso, leggero colpetto di tosse, vai:
"Tutto è pronto, Mae-"
"HO SENTITO."
Il giovane discepolo si morse il labbro nello stesso momento in cui la candela decise che era arrivato il momento di levare le tende. La fiamma si spense lasciando nell'aria un odore osceno.
"Dannazione Squarzo, quante volte te lo devo dire che bisogna fare le cose con solennità, con pathos, ritmo drammatico, teatralità. MA DAI, MA OGNI VOLTA."
"P-pensavo non avesse sentito, M-maestro."
"Meditavo, Squarzo, per purificarmi da ogni traccia di positività prima della Nera Evocazione." Il tono di Sothil-Boletor era quello di uno che spiega le cose per l'ennesima volta con fatica, rassegnazione, amarezza. "Tutto deve essere perfetto, scandito, tac taaac." Una mano disegnò rettangoli sul palmo dell'altra. "Lo sai anche tu. Mi chiami una volta, io spengo la Candela del Male, mi alzo, indosso la Tunica del Terrore, metto la Maschera dell'Orrore, prendo il LIBRO e poi ci dirigiamo verso la sala rituale dove i nostri confratelli ci stanno aspettando. Da più di tre ore ormai, direi."
"Male, Terrore, Orrore, libro, tre or-"
"È il LIBRO non il libro, Squarzo, maledizione!"
"Sì sì il LIBRO, ce l'ho. No sul serio. Rifacciamo. LIBRO."
Il Gran Cerimoniere si strizzò tra indice e pollice il cicciolino di carne in mezzo agli occhi e sospirò profondamente. "Ricorda: sei clessidre di Canti Abissali, sei di Abluzioni Innominabili e sei di Meditazioni Profane. Poi entri."
"Ce l'ho eh, ce l'ho." Squarzo battè il mignolino del piede contro il leggio mentre usciva dalla camera. Varcò la soglia con due ultimi salti disperati.
Sothil-Boletor rimase solo con il proprio fastidio e diciotto clessidre di rituale da compiere. Ma quel fastidio, quel rancore che provava non era dovuto solo all'incompetenza del suo assistente. Era qualcosa di più profondo, titanico, abissale.
Si dice che l'uomo saggio dubiti di ogni cosa e rimetta in discussione ogni certezza. Eppure, l'uomo veramente saggio e, soprattutto, dotato di amor proprio, sa che esistono cose che non andrebbero interrogate. Cose che bisognerebbe lasciare al loro posto e dare per assodate nella vita: esistono, sono lì e non se ne andranno mai. Sempre con 'sta mania di mettere le dita ovunque, oh. Eppure eppure, proprio come coloro che, nella più miserabile delle epifanie, si rendono conto di avere un ronzio nelle orecchie e da quel momento in poi non smettono più di sentirlo, un giovane Sothil, molti inverni fa, si chiese "ma perchè fa tutto così schifo?". Da allora i tanti pulviscoli delle ingiustizie quotidiane, dei torti e delle incomprensioni smisero di essere trasportati dalla piacevole brezza dell'indifferenza e si accumularono, poco a poco, inesorabilmente. In quell'orribile bonaccia gli occhi si arrossavano sempre più spesso, e diventava sempre più difficile respirare e ogni cibo e bevanda sapeva di cenere. Chissà quali altre strade avrebbe potuto intraprendere Sothil-Boletor. Sarebbe magari bastata una brava e saggia donna a riaprire le finestre della sua anima e a far rientrare del vento salvifico. Ma si sa, spesso le cose sono più complicate di così. Perciò quando il non ancora Gran Cerimoniere trovò il Libro della Dannazione dei Settanta Segreti (anche conosciuto come il LIBRO) una soluzione alternativa si presentò lampante ai suoi occhi cisposi: bruciare tutto.
E mentre il Mastro Mistero rumirginava su tutto questo, i Canti Abissali risuonavano ancora più mortiferi e fuori tono. Le Abluzioni Innominabili, nella cenere dei morti, insozzarono come mai prima d'ora il suo capo e le sue membra. E infine le Meditazioni Profane posero un coperchio sulla giara del suo spirito, colma fino all'orlo di disappunto nero pece, affichè nemmeno una goccia si disperdesse.
"Tutto è pronto, Maestro."
Sothil-Boletor soffiò sulla Candela del Male e si alzò lentamente.
Squarzo guardò il suo maestro negli occhi. Represse un brivido. Questa volta era quella giusta.
"Iniziamo."
Il crescendo cacofonico di canti, urla, gemiti, terrore e raccapriccio s'interruppe al suo culmine, allo scandire dell'ultima sillaba dell'orrida evocazione. Sothil-Boletor ansimante e colle braccia tese alla luna piena, aveva il viso imperlato di sudori freddi. L'intera fratellanza di Ulaag Khar tratteneva il fiato.
Il vento spazzava la cima del Monte Monco.
Silenzio.
Le stelle scintillavano nel cielo.
Silenzio.
Coff, coff.
No, dai.
Un gocciolone di sudore prudeva sulla punta del naso del Mastro Mistero.
Dubbio.
Insopportabile.
Più terribile di qualunque cosa sarebbe potuta comparire al centro del pentacolo.
Difatti, l'opposto: che nulla sarebbe comparso.
Insopportabile.
Più terribile di qualunque cosa sarebbe potuta comparire al centro del pentacolo.
Difatti, l'opposto: che nulla sarebbe comparso.
Dai, no.
Che era tutta una farsa, il LIBRO, i rituali, la fratellanza, Ulaag Khar stesso.
Stavano iniziando a mormorare.
Una
vita passata a interpretare passaggi, sbrogliare enigmi, ricostruire
mosaici di conoscenza proibita tassello per tassello. Notti innumerevoli
sacrificate sulla pira dell'ossessione, interrogandosi su quella
sillaba, quel simbolo, quel segno, su cosa fosse, cosa significasse, se
significasse. Mari neri di demenza e paranoia nei quali la mente aveva
rischiato di perdersi e annegare, guidata solo dal faro dell'ambizione.
Tutte panzane.
Sothil-Boletor
chiuse gli occhi. Dunque finiva così, su un monte dimenticato dagli
Dèi, assieme a una masnada di buzzurri ignoranti la cui unica soluzione
al non potersi guardare in faccia ogni mattina era stata quella di
calarsi un cappuccio nero in testa. Ed eccolo lì, il re degli stupidi,
un libraio frustrato che aveva creduto a un mucchio di frottole su
morte, distruzione e demoni infradimensionali. C'avevano pure messo due
mesi a trovare una sola maledetta, racchissima vergine in sette vallate e
decine di villaggi pedemontani. Persino lei aveva smesso di urlare, la
baldracca.
Mentre il vociare dei sempre meno
fedeli si faceva chiassoso e irrequieto, ricordi inaspettati
riaffiorarono nella mente del Gran Cerimoniere. Ricordava i lunghi
corridoi dell'Archivio Imperiale, le librerie gigantesche, l'odore della
carta, il silenzio. Ricordava capelli neri sempre arruffati, occhiali
spessi, un viso dolce. Ricordava i sorrisi imbarazzati quando la
incrociava, non riuscire a guardarla negli occhi senza abbassare lo
sguardo, salvo poi tornare a sbirciare subito dopo, tardi, perché lei
non fissava più, e comunque lui lo sentiva che non era interessata.
Ricordava quando si era seduta vicino a lui, i gomiti che si erano
toccati per sbaglio, scusa scusami no davvero mi spiace scusa
tu. L'invito improvviso di prendersi insieme una tisana alla malva
quella sera. Non ricordava il sorriso ebete che ebbe stampato in faccia
per l'intero pomeriggio, ma ricordava quando, con un tonfo, un libro
cadde ai suoi piedi da qualche scaffale dimenticato.
Sothil-Boletor fissò il LIBRO ed esso ricambiò, beffardo.
Qualcuno
stava urlando. Squarzo gli strattonava la manica con insistenza.
Venivano verso di lui? Chi se ne importa. Che venissero e mettessero
fine a questa farsa una volta per tutte. Se solo si fosse presentato
all'appuntamento quella sera, se solo non avesse perso tempo su quello
stupido, inutile libro di me-
L'aria esplose in
un boato crepitante. Un grido ultraterreno, i cui tremendi, antichissimi
gargarismi portarono alla follia le menti più fragili. Più o meno
tutte.
L'intera Fratellanza di Ulaag Khar finí a gambe all'aria, investita dall'urto e dall'odore di sbobba rancida. Anche i pochi che poterono conservare i prosperi della ragione, dovettero fare i conti con il porfido pentacolato. Squarzo diede una culata talmente forte che per un paio di settimane si ritrovò ad avere una terza chiappa.
Seguí uno spettacolino un po' kitsch di nebbioni, luci rosse e risate troppo lente, basse e scandite per suonare naturali. Il tessuto della realtà venne strattonato da forze oscure e si sfilò proprio in quel punto che poi ti frega tutto l'orlo della giacca se continui a tirare.
C'era qualcosa nella nebbia: una sagoma di orrore estremo, umanoide agli occhi ma sbagliata alle budella, che si torcevano e agitavano e invitavano a una fuga senza guardarsi indietro, mai, per nessun motivo. La racchiona ragazza, come impazzita, si dimenava sull'altare fino a farsi sanguinare polsi e caviglie.
Sothil-Boletor, deglutí, saggiò la stabilità delle sue gambe e decise di rimanere a terra. Poi balbettò:
"G-grande Ulaag Khar... S-sei tu?"
A metà frase le corde vocali decisero di abbandonarlo e finì la domanda completamente in falsetto. Il risultato suonò così scemo e anticlimatico che il Gran Cerimoniere non riuscì mai a cancellare dalla memoria questo dettaglio, marchiato a fuoco dall'inadeguadezza.
Una folata di vento spazzò via la foschia. Un coro di sussulti diede il benvenuto al terribile Ulaag Khar, il Demone dell'Oscurità, l'Incubo dei Mondi, il Capro che Cammina come un Uomo, l'Orrore a Cinque Punte, il Funestissimo. Era proprio lí davanti a loro: orrende le zampe da capra, ricoperte di pelo nero, terribili le corna ritorte verso la luna e gli occhi, gli occhi per gli Dèi!, scintillavano di un male ancestrale nelle pupille oblunghe. Stringeva in una mano un coccio ricurvo, tipo una ciotola, e nell'altra una bacchetta di legno, con un'estremità tonda e larga, tipo un cucchiaio. Il suo pizzo caprino era sporco di latte.
L'intera Fratellanza di Ulaag Khar finí a gambe all'aria, investita dall'urto e dall'odore di sbobba rancida. Anche i pochi che poterono conservare i prosperi della ragione, dovettero fare i conti con il porfido pentacolato. Squarzo diede una culata talmente forte che per un paio di settimane si ritrovò ad avere una terza chiappa.
Seguí uno spettacolino un po' kitsch di nebbioni, luci rosse e risate troppo lente, basse e scandite per suonare naturali. Il tessuto della realtà venne strattonato da forze oscure e si sfilò proprio in quel punto che poi ti frega tutto l'orlo della giacca se continui a tirare.
C'era qualcosa nella nebbia: una sagoma di orrore estremo, umanoide agli occhi ma sbagliata alle budella, che si torcevano e agitavano e invitavano a una fuga senza guardarsi indietro, mai, per nessun motivo. La racchiona ragazza, come impazzita, si dimenava sull'altare fino a farsi sanguinare polsi e caviglie.
Sothil-Boletor, deglutí, saggiò la stabilità delle sue gambe e decise di rimanere a terra. Poi balbettò:
"G-grande Ulaag Khar... S-sei tu?"
A metà frase le corde vocali decisero di abbandonarlo e finì la domanda completamente in falsetto. Il risultato suonò così scemo e anticlimatico che il Gran Cerimoniere non riuscì mai a cancellare dalla memoria questo dettaglio, marchiato a fuoco dall'inadeguadezza.
Una folata di vento spazzò via la foschia. Un coro di sussulti diede il benvenuto al terribile Ulaag Khar, il Demone dell'Oscurità, l'Incubo dei Mondi, il Capro che Cammina come un Uomo, l'Orrore a Cinque Punte, il Funestissimo. Era proprio lí davanti a loro: orrende le zampe da capra, ricoperte di pelo nero, terribili le corna ritorte verso la luna e gli occhi, gli occhi per gli Dèi!, scintillavano di un male ancestrale nelle pupille oblunghe. Stringeva in una mano un coccio ricurvo, tipo una ciotola, e nell'altra una bacchetta di legno, con un'estremità tonda e larga, tipo un cucchiaio. Il suo pizzo caprino era sporco di latte.
...Eh?
"Oh porca pupazza." disse Ulaag Khar, a bocca piena. "Non ditemi che avete trovato il libro."
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